Vi è mai capitato di sentire un bambino, anche molto piccolo, che dicesse “non sono capace” con aria sconfortata se non addirittura piangendo? Al giorno d’oggi è un atteggiamento molto diffuso nei bambini, fin dai 2/3 anni. Perché?
Come scrivevo in uno articolo che scrissi qualche mese fa “I bambini credono in se stessi“, per me è impossibile che un bambino piccolo abbia questa mancanza di fiducia in se stesso, non è nella sua natura, qualcosa è intervenuto dall’esterno. Quando capita suggerisco di domandarsi cos’ha l’ha condizionato fino a questo punto e cercare di cambiare rotta attraverso un atto di fiducia nel bambino.
Riprendo il tema in questo articolo sia perché l’ho molto a cuore, sia per agganciarmi ad altri due temi che vorrei sviluppare prossimamente, partendo da ciò che aveva osservato Stern nei suoi viaggi nel mondo. Andiamo per gradi.
I bambini delle popolazioni risparmiate
Arno Stern negli anni ’60 intraprese una serie di viaggi in giro per il mondo per raggiungere quelle che definì le “popolazioni risparmiate”. Risparmiate da cosa? Dai condizionamenti sociali e culturali, tipici della cultura occidentale (valutazioni, commenti, giudizi, competizione…). Dopo molti anni di studio sulla Traccia Naturale, che si manifestava nei dipinti dei bambini del suo atelier di Parigi, volle confermare la sua ipotesi che la Traccia fosse universale. Raggiunse queste popolazioni che vivevano in villaggi sperduti della Papa Nuova Guinea, del Perù, dell’Afghanistan, dell’India, del Niger,… Portò loro colori e fogli e li fece dipingere. Da un lato confermò che la traccia naturale era universale e che si manifestava in tutte le persone del mondo, dall’altro osservò molti altri aspetti altrettanto interessanti e su cui vale la pena di porre l’attenzione.
Quando il condizionamento limita i processi di sviluppo
La Traccia nei dipinti dei bambini che vivevano lontani dai condizionamenti della cultura occidentale si manifestava all’ennesima potenza. Ciò dimostrava che la Traccia naturale (che nel tempo Stern definì “Formulazione” per indicare anche tutti i principi universali che la regolano) si manifestava nella misura in cui la persona era libera dai condizionamenti. I bambini di Parigi che dipingevano nel suo atelier dimostravano già negli anni ’60 un certo grado di condizionamento che limitava il fluire naturale dell’atto del tracciare; nel tempo questo condizionamento è aumentato sempre più, fino ai giorni nostri in cui la Formulazione non si manifesta quasi più, se non in condizioni particolari come quelle del Gioco del dipingere. Ciò significa che il bambino non disegna più il personaggio, la casetta, l’albero secondo l’evoluzione naturale della Formulazione, ma si adegua alle richieste dell’adulto, perdendo così il piacere di disegnare e di giocare secondo quel perfetto equilibrio e profondo contatto con se stesso che dovrebbero invece emergere. Perché molti bambini verso i 6/7 anni non disegnano più?
Arno Stern constatò altri tre aspetti fondamentali:
- nessun bambino delle popolazioni risparmiate disse: “non sono capace”;
- nessun bambino si trovò a disagio di fronte al foglio bianco;
- nessun bambino si stancò di dipingere, anche dopo molte ore.
Tutti si immergevano in quel meraviglioso gioco, con entusiasmo e piacere, lasciandosi andare a gesti spontanei, mai frutto di casualità. Questo supporta la considerazione che il bambino nella sua natura ha fiducia in se stesso e se dubita di se stesso qualche evento esterno ha indotto questo atteggiamento.
Nessun bambino disse “non sono capace”
Arno Stern, durante quei viaggi, osservò che nessun bambino disse “non sono capace” mentre dipingeva, a differenza dei bambini di Parigi che spesso, soprattutto al giorno d’oggi, entrano in crisi, a volte anche piangendo disperati, perché non riescono a disegnare qualcosa. Perché nella nostra società molti bambini non amano disegnare e spesso di fronte al foglio bianco non sanno cosa fare o si disperano perché non riescono a disegnare qualcosa?
Stern, durante una delle ultime volte che l’ho incontrato, ha detto una cosa che mi ha stretto il cuore ma che è un’amara verità: la cosa più grave che la società sta facendo ai bambini è quella di farli dubitare di se stessi. Com’è possibile che un bambino di 4 anni venga in atelier a fare un’attività che per lui dovrebbe essere la risposta ad un bisogno (l’atto del tracciare), che dovrebbe essere gioco spontaneo che genera entusiasmo, che dovrebbe procurare un piacere profondo, e si metta a piangere disperato dicendo “non sono capace di disegnare il drago” o addirittura non voglia neanche dipingere? Com’è possibile che un bambino così piccolo sia convinto di non essere capace di disegnare, al punto da bloccarsi?
I bambini non dubitano di se stessi
Facciamo un sondaggio: quanti di voi pensano di saper disegnare? La maggior parte degli adulti è convinto di essere negato ma nessuno si è mai domandato perché e da quando lo pensa. Se scavate nel vostro passato molto facilmente troverete il momento esatto in cui avete iniziato a convincervi di questo. Eravate molto piccoli e quasi sicuramente c’era qualcun altro con voi che probabilmente non vi ha mai detto “non sei capace” ma vi avrà detto frasi come: “amore che bello, che bravo che sei stato… ma cos’è?”, “amore, il sole non è verde è giallo”, “amore, le dita sono 5 ma tu ne hai fatte 4, va bene lo stesso ma la prossima volta stai più attento”, “amore, mancano gli occhi e le orecchie, dai le aggiungiamo?”, “l’albero si disegna così, guarda”, “dai che se fai un bel disegno lo appendiamo”…
Parole che sono all’ordine del giorno in molte famiglie da quando il bambino inizia a prendere in mano una penna e nel percorso scolastico fin dall’asilo nido.
Il problema non è che il bambino non sia capace, ma che vada in crisi quando non riesce a fare qualcosa. I bambini non sanno fare molte cose, ma questo non li scoraggia mai. Anzi è proprio questa fiducia in se stessi che alimenta la loro azione e che li spinge ad apprendere. Vanno per gradi e natura ha predisposto che proprio grazie ai tentativi e alla ripetizione prima o poi raggiungano l’obiettivo. Ma un bambino che non ha fiducia in se stesso si blocca, si ferma, non tenta neanche. E’ questo il punto su cui vi invito a riflettere.
Il bambino forma il suo Sé attraverso il feedback che riceve dal mondo fin da quando nasce; all’inizio possiamo parlare di un “Sé affettivo”, solo più avanti diventa un “Sé concettuale”, ma in entrambi i casi lo costruisce nell’interazione con gli altri e con l’ambiente.
È dunque importante comprendere perché un bambino dice “non sono capace” con aria sconfortata. Vi invito quindi a domandarvi perché lo dice, osservate la situazione, il contesto, come gestisce emotivamente la cosa. Vi invito a non concentrare l’attenzione sul bambino, ma su voi stessi oppure sugli altri adulti che gravitano intorno al bambino, osservando gesti e parole, in modo da intervenire per cambiare rotta.
La fiducia nel bambino come risorsa preziosa
Tutto il vostro essere dovrebbe trasmettere fiducia nel fatto che il bambino prima o poi ce la farà. Il vostro atteggiamento dovrebbe offrire il sostegno necessario al bambino per sapere che capita a tutti di non riuscire a fare qualcosa ma che l’unico modo per riuscirci è provarci. Noi spesso invece di creare le condizioni per sostenere il bambino o la bambina nel raggiungimento del suo obiettivo (azione che Jerome Bruner definisce con il termine “scaffolding” e che l’adulto dovrebbe attuare nella “zona di sviluppo prossimale” descritta da Vygotskij), ci sostituiamo a lui/lei e facciamo al posto suo. Senz’altro lo facciamo per non fargli vivere la frustrazione e lo sconforto, per aiutarlo, ma così facendo in molti casi rafforziamo ancora di più in lui/lei la sensazione di non essere capace e di dover dipendere dall’adulto.
Se una bambina, o una bambino, sono convinti in termini di arresa di non essere capaci, qualche evento li ha convinti di questo.
Anche una semplice aspettativa dell’adulto rispetto a qualcosa che il bambino non può essere ancora in grado di fare, può creare un blackout.
Non è mai troppo tardi
Posso testimoniare, perché l’ho visto molte volte accadere nel Gioco del dipingere, che creando le condizioni adeguate (per esempio proteggendo la bambina o il bambino da giudizi, competizione, commenti, domande su ciò che fa) e soprattutto attraverso una grande fiducia in lei/lui, pian piano ritrova la fiducia in se stessa/o e il foglio bianco e gli “errori” non la/lo spaventano più. Dipingere torna ad essere un grande piacere e un gioco entusiasmante, come natura ha previsto. Ma solo la continuità nel tempo e la costanza settimanale garantiscono ai bambini e alle bambine l’opportunità di riconquistare ciò che gli è stato sottratto da un mondo competitivo dove il mordi e fuggi e la prestazione sono all’ordine del giorno fin da quando nascono (ndr: diffidate da tutti i Closlieu dove vi propongono una prova o pochi incontri, perché non sono caratteristiche del Gioco del dipingere).
Ciò che accade nel Gioco del dipingere è solo un modo per me per cercare di testimoniarvi quanto l’atteggiamento dell’adulto e le condizioni possano portare ad un cambiamento meraviglioso nel bambino, ma vi invito ad orientare lo sguardo verso tutti gli ambiti di sviluppo del bambino. Fin da quando nasce dobbiamo iniziare ad vere fiducia e a lasciare al bambino o alla bambina piccoli spazi di crescita per permettergli/le di imparare ad autoregolarsi, di procedere per tentativi, di sbagliare, di ripetere e quindi di formare il suo cervello e l’errore non deve essere mai proposto come negativo, ma come opportunità.
Certo per aver fiducia bisogna conoscere le potenzialità di un bambino e cosa madre natura ha programmato… lascio ad ognuno il suo cammino di conoscenza.
Perché, come ha osservato Stern, molti bambini al giorno d’oggi si bloccano di fronte ad un foglio bianco (“non so cosa disegnare”) o si stancano dopo poco tempo che disegnano? Le riflessioni nel prossimo articolo… staytuned!
Maria Pia Sala
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