Un tema che ho molto a cuore in questo periodo è quello dell’autonomia e vorrei iniziare partendo da una frase del prof. Luigi Secco Il fine specifico dell’educazione è portare all’autonomia.” [Portera A., Secco L., Bohm W. “Educabilità, educazione e pedagogia nella società complessa”, Novara, UTET, 2007].

Come ormai sa chi segue i miei articoli, amo parlare di educazione attraverso l’esperienza del mio lavoro come servente del Gioco del dipingere (gioco unico e straordinario messo a punto da Arno Stern) perché ciò che accade è un concentrato di molte dinamiche relazionali, sociali, educative che mi offrono lo spunto per studiare e riflettere.

Mi è capitato spesso in questi anni che arrivassero genitori intenzionati a iscrivere il loro bambino o la loro bambina al Gioco del dipingere e che durante l’incontro di presentazione iniziale mi dicessero “sarà difficile per lui/lei entrare da solo in atelier a dipingere perché è troppo attaccato a me, non è per nulla autonomo”, oppure “non ci saranno problemi, è già così autonomo che entrerà nel Closlieu (l’atelier dedicato all’attività) senza neanche salutarmi”.

Io rispondo sempre: “non facciamo previsioni, non sappiamo cosa accadrà”. E rispondo così perché in tutti questi anni ho visto quanto spesso le aspettative dei genitori venissero puntualmente disattese. Spesso i genitori confondono la capacità di fare le cose da soli, senza bisogno della mamma, con l’autonomia. E così è accaduto spesso che chi si aspettava che il bambino, o la bambina, si aggrappasse al suo collo senza voler dipingere, si ritrovasse con il bambino entusiasta che iniziava a dipingere senza alcun problema, e chi si aspettava che il bambino entrasse a dipingere senza alcuna incertezza, si trovasse invece di fronte ad un bambino che non voleva saperne. Forse la risposta del perché accade questo, sta nel concetto di “autonomia”.

E se l’autonomia coinvolgesse molti domini di sviluppo del bambino che non sono maturi almeno fino ai 18 anni?

Molti genitori pensano che il piccolo conquisti l’autonomia lasciandolo da solo o lasciandolo libero di fare qualsiasi esperienza in libertà, altri che non possa essere autonomo in nulla fino a vent’anni. Molti ritengono che Madre natura abbia predisposto tutto al punto che l’essere umano nasca con la capacità innata di autoregolarsi e che sia sufficiente sostenerlo senza intervenire con un intento educativo, altri che il bambino non sia in grado di autoregolarsi finché non è già grande. C’è chi lascia piangere a lungo i neonati convinto che debbano iniziare fin da piccoli a cavarsela da soli e chi non li lascia vivere un’emozione spiacevole nemmeno per un attimo per non deluderli.

Ciò che sfugge a molti adulti è infatti che il bambino ha potenzialità straordinarie ma arriva all’autonomia solo attraverso l’interazione con l’adulto, in un percorso graduale che inizia per certi versi ancor prima della nascita.

Ho molta fiducia in ciò che la natura ha previsto e son convinta che vada profondamente rispettato, ma non si deve incorrere nell’errore di pensare che l’adulto non debba intervenire con un’azione educativa o che viceversa che debba continuamente controllare e imporsi su tutto.

Partiamo dal fatto che il cucciolo d’uomo nasce con un cervello poco sviluppato e questo probabilmente per permettere alla testina del piccolo di passare attraverso il canale vaginale (ipotesi più diffusa). Il maggior sviluppo del cervello di fatto avviene dopo la nascita, in particolare nel primo anno di vita e continua fino a circa ai 18 anni. Il cucciolo d’uomo nasce con potenzialità enormi ma è solo nell’interazione con gli altri (soprattutto con l’adulto di riferimento) e con l’ambiente che queste potenzialità possono emergere e trovare il massimo sviluppo. L’adulto e l’ambiente svolgono dunque un ruolo fondamentale.

La natura è saggia, ma bisogna conoscere cos’ha previsto e muoversi di conseguenza, altrimenti si corre il rischio di confondere il rispetto per la natura con il lasciare tutto alla casualità degli eventi o viceversa di ostacolarla.

Nel mio precedente articolo “L’educazione: quel difficile equilibrio tra lasciar uscire ed apportare”, scrivevo che la responsabilità dell’atto educativo è dell’adulto, anche se allo stesso tempo il protagonista è il bambino. Educare significa da un lato “educére” ovvero lasciar uscire ciò che è dentro al bambino (la sua natura e le sue potenzialità) e dall’altro “edére” ovvero nutrire, apportare il meglio di ciò che ha prodotto l’uomo: la cultura, in primis i valori.

Cosa significa “portare all’autonomia” e quando inizia l’azione dell’adulto?

Il percorso verso l’autonomia inizia fin da subito, dalla nascita, e si sviluppa attraverso la relazione con l’adulto e con il mondo.

Come spiega bene Winnicott, nelle prime settimane di vita la mamma è in grado di rispondere a tutti i bisogni del neonato, o della neonata, in una sorta di sincronizzazione perfetta. Ben presto però la madre, come ha previsto la natura, inizia a non essere più in grado di comprendere e rispondere a tutti i suoi bisogni. Ed è proprio questa imperfezione della madre che permette al bambino di iniziare il suo percorso verso l’autonomia. Nella vita del bambino iniziano ad esserci brevi spazi “vuoti” in cui è chiamato ad essere agente della propria vita: deve imparare ad autoregolarsi. Le ricerche dimostrano che i bambini iniziano a sviluppare la capacità di autoregolarsi fin da neonati, soprattutto nell’esperienza intersoggettiva, attraverso l’interazione con l’adulto [Emanuela Lavelli, “Intersoggettività. Origini e primi sviluppi”, Raffaello Cortina Editore 2007]. Queste prime esperienze di autoregolazione sono quelle che nel tempo portano allo sviluppo dell’autonomia e dipendono in gran parte da come l’adulto si relaziona con il bambino. Winnicott parla di “madre sufficientemente buona” che lascia il giusto spazio al bambino. Se è “troppo buona”, iperprotettiva, troppo presente, non lascia mai al bambino brevi spazi di “autonomia”. Se è troppo poco presente (a mio avviso anche quando lo fa in nome del rispetto del bambino e della libertà) i momenti vuoti sono troppo lunghi e il bambino entra facilmente in ansia.

Il ruolo dell’adulto di riferimento dunque fin da subito è strategico e determinante per il futuro del bambino, per le sue relazioni e per lo sviluppo dell’autonomia.

Autonomia = governarsi da sé

Credo sia importante riflettere sulla parola “autonomia” perché il suo significato apre un mondo: “governarsi da sé”.

Autonomia non significa indipendenza, non significa solo che, per esempio nel Gioco del dipingere, il bambino sia in grado di cambiarsi le scarpe da solo, o di andare in bagno, o di prendere in mano un pennello o di infilarsi il grembiulino o di separarsi dalla madre senza problemi. Autonomia significa molto di più. Significa anche, per esempio, imparare a gestire le proprie emozioni, controllare le reazioni impulsive, vivere la dimensione del gruppo serenamente, in relazione con gli altri, prendersi la responsabilità delle proprie azioni, trovando un giusto equilibrio tra star bene con se stessi e con gli altri, senza “crollare”.

Capita spesso che un genitore mi dica con entusiasmo “guarda, non avrà nessun problema, vedrai che entrerà a dipingere e non si accorgerà neanche che io non ci sono” e che poi il bambino non sia così sereno ed entusiasta. Ed è normale che sia così anche nei bambini più grandi perché mille possono essere i motivi che limitano la loro capacità di “governarsi da sé”. Il punto è capire cosa sta accadendo dentro a quel bambino e aiutarlo a fare un ulteriore passo verso l’autonomia, senza umiliarlo con frasi tipo “dai che sei grande, non fare storie”, oppure “guarda lei che è più piccola di te e non piange”. Nessuno mette per esempio in conto il fatto che un bambino di 8 anni possa aver vissuto un’esperienza negativa in relazione al disegno; magari la maestra ha continuato a ripetergli che non sa disegnare e lui non è ancora in grado di gestire questa forte emozione negativa. Ed è qui, ancora prima di entrare in atelier, che l’azione educativa del servente del Gioco del dipingere (e di qualsiasi educatore) è determinante.

È necessario creare le condizioni affinché quel bambino si senta accolto, compreso, ascoltato e avere grande fiducia che gradualmente, solo attraverso la costanza settimanale e per un periodo sufficiente, ritrovi la fiducia in se stesso e la capacità di far fronte alle emozioni che lo travolgono. Ecco perché Arno Stern dice che il Gioco del dipingere, grazie alla costanza e alla continuità nel tempo, “rende forti e autonomi” (capaci di governarsi da sé). Certo, molto dipende dal ruolo del servente e dalla collaborazione dei genitori.

Affinare la capacità di trovare il giusto equilibrio educativo

L’adulto deve dunque continuamente affinare la capacità straordinaria di trovare il giusto equilibrio per “portare all’autonomia”. Il bambino non è in grado di farlo da solo, è un processo che necessita dell’azione dell’adulto di riferimento fino a 18 anni circa, momento in cui, come dimostrano le neuroscienze, il cervello ha completato pienamente il suo sviluppo (anche se poi continuerà a modificarsi tutta la vita). Fino a quel momento il bambino/ragazzo non ha il cervello maturo per comprendere una serie di aspetti della vita e gli adulti non possono aspettarsi da lui la maturità sufficiente nella gestione delle emozioni, delle reazioni impulsive, del senso del pericolo,… devono continuare a svolgere il proprio ruolo con pazienza, consapevoli che, per esempio, le reazioni di un adolescente spesso dipendono da un’immaturità strutturale del cervello.

Dunque pensare, come fanno molti genitori, che la natura abbia predisposto tutto e che i bambini siano in grado fin da piccoli di essere autonomi, o viceversa totalmente incapaci, non è saggio ed è controproducente.

L’autonomia tra limiti e libertà

Imparare a gestire le emozioni di fronte alle delusioni e alle frustrazioni, di fronte ad una regola o a un limite è un’altra grande conquista in termini di autonomia. Al giorno d’oggi invece spesso si lasciano i bambini liberi di fare ciò che vogliono in nome di una strana idea di “fare esperienza” e di “libertà” o per paura di contraddirli e deluderli; ma la troppa libertà porta spesso ad un caos interiore troppo grande da riordinare, perché il cervello dei bambini non è maturo per gestire molti aspetti della vita. Hanno necessità che l’adulto li contenga, che ponga dei limiti, che fissi delle regole entro cui muoversi. Un bambino non può imparare a governarsi da sé nella libertà. Facilmente sarà un bambino (e successivamente un ragazzo) ansioso, incapace di stare nella relazione con gli altri fin da piccolo, iperattivo, agitato, perché libero in uno spazio troppo grande da governare. L’esperienza non sta solo nel fare ciò che si vuole, spinti dalla curiosità e dagli istinti. Anche attraverso la frustrazione del rispetto dei limiti e delle regole il bambino fa una grandissima esperienza preziosa e indispensabile per il suo futuro nel mondo.

Come ho scritto e ripetuto più volte la differenza sta nel come l’adulto si relazione e fissa questi limiti e queste regole, e la risposta non è né l’abuso di potere né un atteggiamento autoritario, ma un atteggiamento autorevole e fermo che sa contenere con amore.

La strada verso l’autonomia dunque è lunga ma la sua chiave sta nella gradualità, nella costanza e nella continuità nel tempo di una relazione ottimale con l’adulto.

Maria Pia Sala

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© I contenuti presenti nel sito e negli articoli (immagini e testi) sono di Maria Pia Sala. Mi fa piacere se desideri divulgare o condividere le mie parole e ti ringrazio, ma ti chiedo di citare sempre la fonte per rispetto a me e al mio lavoro.

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