Se vi trovaste di fronte ad un foglio bianco sul quale dipingere come reagireste? Molti di voi probabilmente sarebbero a disagio, così come molti bambini: perché?

Un bambino piccolo di fronte ad un foglio bianco impugna il pennello e lascia andare la mano, quel che succede… succede! Anzi si entusiasma e si meraviglia di ciò che accade, dei tracciati che prendono forma, dei tracciati a cui non aveva minimamente pensato, ma che si sono manifestati davanti ai suoi occhi. La sua mano e il suo corpo, spinti dal piacere motorio, si attivano. La razionalità prende altre strade per lasciar posto ad una dimensione mentale del tutto spontanea ma mai casuale. Il bambino risponde ad un programma fissato dalla natura che si impone a tutti gli esseri umani indipendentemente dal vissuto, dall’esperienza, dall’etnia, dall’età, dal sesso.

Questa è la grande scoperta di Arno Stern.

Dai primi tracciati e attraverso tre principi universali (l’Evoluzione, la Reiterazione e la Simultaneità) il bambino passa attraverso varie fasi di manifestazione dei tracciati che lo porteranno dalle “Figure Primarie”, agli “Oggetti-immagine” alle “Figure essenziali”.

Ma il bambino attraversa queste fasi solo se non è condizionato. E al giorno d’oggi molti bambini man mano che crescono perdono il piacere di disegnare e non manifestano più la Traccia naturale.

Come scrissi nell’ultimo articolo, Arno Stern negli anni ’60 intraprese una serie di viaggi in giro per il mondo per raggiungere quelle che definì le “popolazioni risparmiate”. Risparmiate da cosa? Dai condizionamenti sociali e culturali, tipici della cultura occidentale (valutazioni, commenti, giudizi, competizione…). Dopo molti anni di studio sulla Traccia Naturale, che si manifestava nei dipinti dei bambini del suo atelier di Parigi, volle confermare la sua ipotesi che la Traccia fosse universale. Raggiunse queste popolazioni che vivevano in villaggi sperduti della Papa Nuova Guinea, del Perù, dell’Afghanistan, dell’India, del Niger,… Portò loro colori e fogli e li fece dipingere. Da un lato confermò che la traccia naturale era universale e che si manifestava in tutte le persone del mondo, dall’altro osservò molti altri aspetti altrettanto interessanti e su cui vale la pena di porre l’attenzione:

  • nessun bambino delle popolazioni risparmiate disse: “non sono capace” (leggi il mio articolo sul tema);
  • nessun bambino si trovò a disagio di fronte al foglio bianco;
  • nessun bambino si stancò di dipingere, anche dopo molte ore.

Nessun bambino di fronte al foglio bianco si fermò, annoiato o preoccupato. Tutti i bambini delle popolazioni risparmiate presero in mano il pennello e iniziarono a dipingere per ore senza mai fermarsi, senza incertezza, senza preoccupazione. Solo un grande piacere.

Al giorno d’oggi invece molti bambini dopo pochi segni dicono “ho finito”. Alcuni si mettono a piangere convinti di non essere capaci, altri non sanno cosa dipingere e chiedono “cosa devo fare?” oppure dicono “non so cosa fare”.

Perché questo disagio di fronte al foglio bianco?

Stern dice “tutto è rotto in loro”, “non sono più capaci di spontaneità”. La società, soprattutto dalla metà del ‘900, ha iniziato a confondere il disegno del bambino con l’arte o con la comunicazione. È largamente diffusa l’idea che il bambino disegni per rappresentare la realtà o per fare arte e questo innesca una serie di dinamiche di relazione che oserei definire dannose per il suo sviluppo, non solo nel campo del “disegno”.

La visione consumistica legata alla produzione, al risultato, alla competizione ha distorto ogni cosa: il bambino disegna perché è un “piccolo artista”, il bambino “produce disegni”, il bambino “è bravo” o “non è bravo”, il bambino “se non disegna il personaggio con 5 dita ha ritardi dello sviluppo”, il bambino “è capace” o “non è capace”. L’educazione artistica, oggi “arte e immagine”, ha introdotto uno sguardo completamente fuorviante e invece di diventare educazione all’arte, alla conoscenza dell’arte, si è orientata sempre più alla logica del consumismo in senso lato. E quindi si entra nelle scuole e si trovano intere pareti con disegni TUTTI UGUALI appesi, dai “piccoli Mirò” ai “girasoli di Van Gogh” a Kandinsky. I bambini disegnano per i genitori, per i nonni, per la maestra, mai per il piacere di disegnare. Ci sono i concorsi, la gara a chi ha l’alunno o il figlio più bravo, lavori e lavoretti di tutti i tipi. E il bambino è passato da un “essere creatore” ad esecutore, già dalla scuola dell’infanzia.

I bambini fin da piccolissimi respirano questa visione. Fin dai loro primi scarabocchi interveniamo nei loro tracciati, o li esponiamo, senza pensare a cosa accade nella loro mente e nel loro cervello. Purtroppo lo si fa per inconsapevolezza, lo si fa perché siamo cresciuti così anche noi, perché tutto il sistema è orientato in questo senso e non ci accorgiamo più di cosa invece la natura ha previsto e di come sta il bambino. Ci adeguiamo a ciò che fanno tutti. E così appena il bambino prende in mano una penna e inizia a scarabocchiare, presi dall’entusiasmo diciamo due cose: “amore che bello! Cos’è?” e lo appendiamo al frigo o alle pareti dell’asilo nido e poi a quelle della scuola dell’infanzia. E qualche tempo dopo, appena il bambino inizia a tracciare qualcosa che ci sembra un personaggio, insegniamo, per esempio, che la mano ha 5 dita, senza accorgerci che il bambino non vuole rappresentare la realtà.

La bambina (o il bambino) non sta facendo arte né rappresentando la realtà, sta giocando e utilizzando i tracciati che la natura gli ha fatto incontrare, quelli della Formulazione “trovata” da Arno Stern. Per fare una mano utilizzerà quella che Arno Stern chiama “raggiata” (un cerchio con tanti raggi) e non ha alcuna importanza che i raggi siano 5 o 50, è una Raggiata; è più che sufficiente per rappresentare una mano, o un piede o un fiore o il sole. È una figura “tipica” che tutti i bambini utilizzano. Nel bambino scatta lo stesso meccanismo mentale che scatta quando utilizza i sassolini per fare la pastasciutta o un manico di scopa per andare a cavallo.

Gioca e non c’è niente da commentare, da esporre o da esaltare o correggere. Gioca: sta formando il suo cervello.

Fin da questi primi momenti e anni della sua vita iniziamo a sabotare ciò che, se non intervenissimo, evolverebbe in un modo straordinario. La spontaneità dell’atto del tracciare continuerebbe a dargli un grande piacere, gli permetterebbe di mettere in scena tutto ciò che desidera, gli garantirebbe fiducia in se stesso, equilibrio interiore. Sarebbe un rifugio per rilassarsi, per ricentrarsi, per lasciar fluire qualcosa di così profondo ed intenso che chi non lo conosce può forse solo intuire.

Dunque se un bambino di fronte al foglio bianco si ferma, qualcosa di esterno è intervenuto e ha ostacolato un processo naturale prezioso per il suo sviluppo, non solo in termini di disegno.

Un bambino che di fronte al foglio bianco si ferma ha perso la capacità di giocare e ha perso il contatto con il suo “essere creatore”, quel sé che lo tiene radicato, che gli permette di avere fiducia in se stesso e di essere protagonista della sua vita.

Facilmente è lo stesso bambino che dice “mamma, non so a cosa giocare” o di fronte ad una difficoltà va in crisi. E’ un bambino che non sa come gestire la sua vita, perché il foglio bianco, in qualche modo, è una pagina della sua vita.

Mi spiace, mi rendo conto che ciò che dico può smuovere la sensibilità di qualcuno, ma l’esperienza mi dice che non mi sbaglio di molto.

Se vi scrivo tutto questo è perché si può cambiare rotta cambiando il modo di relazionarsi con il bambino o la bambina che disegna.

Niente commenti, niente domande, niente lodi, niente giudizi, niente esibizioni né esaltazioni. Solo un grande rispetto e una grande fiducia nelle sue potenzialità. Bisogna entrare in punta di piedi nel suo mondo o addirittura non entrarci affatto. Essere solo testimoni di ciò che accade, con entusiasmo e con un atteggiamento incoraggiante che ciò che accade sul foglio va bene, senza nessuna pretesa di insegnargli come si disegna. Siete davvero sicura di essere “più bravi”? Quando sarà grande, se lo vorrà, potrà fare il liceo artistico o l’Accademia e diventare un grande artista, ma ciò non avrà nulla a che fare con il gioco straordinario di quando era più piccolo.

Un bambino che non sa cosa dipingere è un bambino che non sa giocare e un bambino che non sa giocare con molta probabilità sarà un adulto che avrà molte difficoltà a prendere in mano la propria vita. Proteggere dai condizionamenti un bambino che dipinge, creando le condizioni per permettergli di lasciar fluire la Traccia naturale, o per meglio dire Formulazione, significa permettergli di imparare a “governarsi da sé” ovvero: ad essere autonomo (leggi il mio articolo sull’autonomia).

Molti bambini crescendo diventano ottimi esecutori ma incapaci di autonomia, per altro preziosi nel sistema del consumismo. Ma il bambino e il suo “essere creatore” dove sono finiti? In quale momento si sono persi? Parlerò di questo nel prossimi articolo… a presto! #staytuned

Maria Pia Sala

© I contenuti presenti nel sito e negli articoli (immagini e testi) sono di Maria Pia Sala. Mi fa piacere se desiderate divulgarli o condividere le mie parole e vi ringrazio, ma vi chiedo di citare sempre la fonte per rispetto a me e al mio lavoro.

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