Avete mai pensato che i bambini disegnino per necessità e non per comunicare, raccontare, o fare arte? Arno Stern, classe 1924, ha dedicato tutta la sua vita allo studio di un fenomeno fino ad allora sconosciuto: i bambini non “disegnano” ma “tracciano”, per una necessità organica. Il “disegno infantile”, indica Stern, non ha ragione di essere definito così perché non si tratta di “disegno” ma di “atto del tracciare”.
Questa prospettiva cambia tutto, cambia radicalmente il modo di guardare il disegno di un bambino, cambia il nostro modo di relazionarci con lui, cambia la nostra concezione di disegno, cambia quasi un secolo di attività scolastica incentrato sull’educazione artistica.

Le scoperte di Arno Stern rovesciano i paradigmi, destrutturano le nostre certezze, mettono in crisi il nostro tradizionale modo di rapportarci con noi stessi e la nostra infanzia, per aprire lo sguardo verso la vera espressione pura e spontanea.

Dal disegno infantile all’atto del tracciare

Vi siete mai domandati perché i bambini disegnino? Provate a fare un esercizio: dimenticate tutto quello che “sapete” sul disegno infantile e ripercorrete con la mente tutte le volte che avete visto un bambino piccolo con una penna in mano e un foglio davanti (ma anche senza un foglio davanti!).

Cosa accade? Il bambino inizia a scarabocchiare o a picchiettare sul foglio con entusiasmo, piacere e grande energia. Il bambino lascia andare la mano, non pensa, si lascia andare ad un piacere motorio, senza intenzionalità, senza obiettivi, sicuramente non perché è un piccolo artista e neanche perché vuole rappresentare qualcosa.

E’ spinto da una necessità dell’organismo, il suo corpo inizia a muoversi, la sua mano manifesta il movimento. Questo genera un piacere grandissimo che porta il bambino a continuare e a ripetere questi gesti nel tempo. Sul foglio dopo qualche tempo nascono altre tracce, non più un Girulì (che noi chiamiamo impropriamente scarabocchio) né più Punctili (il picchiettare), ma altre tracce che sono una trasformazione delle prime; nascono dei tratti o delle gocce o delle Figure tonde, poi delle Figure quadrate, poi triangolari, … generati dai tracciati precedenti. Il bambino si allena senza saperlo, i suoi gesti diventano ogni giorno più sicuri, più controllati, in breve tempo è in grado di fare una Figura Tonda, una linea dritta o una Figura Quadrata perfetti. Il gesto inizia in un punto e si conclude in un altro (o nello stesso) senza incertezze.

Poi mette insieme le linee e i cerchi e nascono delle Figure Primarie che non rappresentano nulla, solo la manifestazione di qualcosa di profondo: una Figura Raggiata (una Figura Tonda con tanti raggi), una Lisca (una linea con dei tratti trasversali), un cerchio con un punto centrale, un cerchio diviso in due da una linea, e molte altre figure.

Il tempo passa, il bambino sente la necessità di mettere in scena un mondo a sua misura, di giocare sul foglio. Allora prende in prestito gli “oggetti” che ha a disposizione così come fa quando gioca. Prende i sassolini per fare la pastasciutta, oppure un bastone per dirigere un’orchestra, o il manico di una scopa per andare a cavallo,… Ogni oggetto è al servizio del suo gioco.

Quando disegna accade la stessa cosa: prende in prestito gli oggetti che si è allenato a tracciare fino a quel momento e che gli ricordano qualcosa del suo mondo conosciuto, utile al suo gioco.

Ecco che la Figura Tonda con tanti raggi (la Raggiata) può essere utile per fare un sole, o le mani, o i piedi, o un fiore; la linea con dei tratti trasversali (la Lisca) può essere utile per fare un albero, un insetto, l’antenna della televisione, il corallo nel mare e così pure molti altri tracciati.

Alcuni tracciati poi, assieme, portano ad altri tracciati utili per fare gli oggetti: un quadrato con sopra un triangolo assomiglia molto ad una casa, ma anche ad un personaggio. E quindi il bambino gioca con tutto quello che gli si presenta davanti, come se dentro di lui ci fosse un grande cesto pieno di tracce, da poter utilizzare per giocare.

Mette in scena un mondo a sua misura, un desiderio, un fatto accaduto o immaginato.
Tutto è in equilibrio: il bambino fa ciò che è in grado di fare. Dice Stern: “è sempre in grado di realizzare ciò che desidera”.

Tracciare è una necessità dell’organismo, non ha a che fare con l’arte né con la comunicazione

Ma cos’accade di fatto? Accade che il bambino da un lato manifesta un tracciato, scaturito da una necessità organica di cui non ha né intenzione né consapevolezza, e dall’altro gioca, spinto da un’altra necessità, quella di mettere in scena qualcosa che soddisfi il suo gioco.

Il repertorio degli oggetti  che Stern definisce “oggetti-immagine” a sua disposizione è ampio ma non infinito perché ogni oggetto-immagine nasce dai tracciati precedenti. Per questo Stern parla di “rappresentazioni tipiche” e per questo tutti i bambini fanno la casa nello stesso modo (anche i bambini che vivono in Puglia dove le case hanno i tetti piani, fanno la casetta con il tetto a triangolo!). I bambini non hanno bisogno di altro, tutto quelle che serve è a loro disposizione. Non hanno bisogno che gli oggetti che rappresentano siano fedeli alla realtà, non hanno obiettivi, non producono nulla.

La rappresentazione della realtà, il prodotto, l’obiettivo, il risultato, sono solo aspettative degli adulti perché, ormai da quasi un secolo, nella nostra cultura sono stati confusi l’atto del tracciare con l’arte o il desiderio di comunicare.

Stern con 700.000 disegni dimostra che i bambini non disegnano né per comunicare, né per fare arte. Disegnano per rispondere ad una duplice necessità che si impone a loro: la manifestazione dei tracciati e il desiderio di rappresentare un mondo a loro misura, e quindi di giocare. Tutto accade senza che la ragione si imponga. Tutto è spontaneo, naturale e segue una manifestazione programmata: la Formulazione. Un codice universale. Stern infatti dimostra che tutti i tracciati e gli oggetti-immagine sono gli stessi in tutte le parti del mondo e si manifestano solo se il bambino fino a quel momento non è stato confuso dagli adulti.

Poi la persona crescendo non avrà più l’esigenza di giocare ma arriva un momento in cui la ragione si imporrà e il tracciare diventerà un rappresentare fedelmente la realtà osservata, fino ad utilizzare la prospettiva senza averla mai studiata.

Un breve periodo che ben presto lascia il posto alle “Figure Essenziali”, tipiche dell’età adulta; tutti i tracciati che si erano manifestati da piccoli, tornano a manifestarsi con spontaneità senza intenzionalità e senza rappresentare nulla, ma seguendo un ritmo e un’intensità propri della persona.

La manifestazione della “memoria organica”

Tutto nasce da una necessità organica: la manifestazione della memoria dello sviluppo dell’organismo, dal concepimento. Stern già da qualche decennio parla dell’esistenza di una “memoria organica” che si manifesta nell’atto del tracciare, e solo recentemente anche le neuroscienze hanno iniziato a parlare di “memoria cellulare”.

La Formulazione si manifesta solo nella misura in cui un bambino non viene condizionato dall’adulto con  dinamiche ed elementi che lo confondono. Il bambino accede alla Formulazione secondo una manifestazione programmata che non può essere diversa da così.

Ma se l’adulto confonde il bambino insegnandogli come si disegna una casa o un personaggio a suo modo, nel bambino si crea un corto circuito. E’ come parlargli una lingua che non conosce.

Il bambino deve essere lasciato libero di tracciare, solo così tutto sarà in equilibrio.

Come non ostacolare l’atto del tracciare?

L’atto del tracciare e il piacere che si genera, possono essere ostacolati molto facilmente dall’adulto che non conosce la Formulazione. Il nostro modo di relazionarci con il bambino è determinante perché una nostra interferenza, un nostro commento, un nostro voler insegnare confondono il bambino e nel tempo gli fanno perdere il piacere di tracciare. Ecco perché molti bimbi da piccoli disegnano tantissimo e crescendo perdono il desiderio di farlo. Ma dovrebbe essere una necessità per tutti. La natura ha previsto questo e andare contro ciò che la natura ha programmato genera, come ben sappiamo, molti problemi.

Cosa fare dunque per salvaguardare la Formulazione e il piacere di tracciare?
Alla luce di questo nuovo sguardo sul disegno dei bambini vi invito a provare a darvi le risposte a queste domande e poi nel prossimo articolo riprenderò il tema:

  • Chiedere spiegazioni al bambino? “Raccontami il disegno”, “cos’hai fatto qui?”, “e questo cos’è?”…
  • Lodare? “Che bello amore!”, “Sei stato bravissimo!”, “Sei un’artista”…
  • Fare mostra dei disegni? Appendendoli in classe a scuola o al frigo a casa, fare mostre,…
  • Interpretare? “Se il bambino fa la casa così o colà allora significa che…”
  • A che età deve fare questo piuttosto che quello? “Se a 5 anni non sa disegnare questo allora c’è un problema…”

I bambini amano tracciare, se hanno perso questo piacere qualcosa di esterno è intervenuto. Ma la bella notizia è che c’è speranza di recuperare!

Maria Pia Sala

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