Strano concetto quello di prendersi cura di un bambino che disegna. Raramente lo si fa, il più delle volte si prende a cuore quello che disegna: ci si interroga, si chiedono spiegazioni al bambino, lo si loda per il bel disegno, ci si emoziona per il piccolo artista, si fa mostra del suo disegno appendendolo al frigo o ai muri della scuola, gli si chiede di fare un disegno come regalo per qualcuno, si corregge se sbaglia, si valuta con un bel voto o una faccina sorridente se va bene altrimenti un brutto voto e una faccina triste, si interpreta o si analizza ciò che ha fatto, ci si preoccupa se a 5 anni non disegna se stesso con il collo o con due narici, o con le orecchie, con la proporzione tra braccia e gambe,… (quanti di voi se vi chiedo di disegnare voi stessi… riescono a farlo con tutti questi parametri perfetti? Tutti rimandati! 🙂 ).
Tutte queste dinamiche che mettiamo in atto rispondono ad un bisogno profondo del bambino? Perché le mettiamo in atto?
Ebbene noi troppo spesso abbiamo aspettative sul disegno dei bambini, perché viviamo in una società che da ormai un secolo ha introdotto l’educazione artistica confondendo il disegno spontaneo dei bambini con l’arte. E noi stessi siamo cresciuti con questa visione. Se non lo avete ancora letto, vi consiglio di leggere il mio precedente articolo “Disegno per necessità. Un nuovo sguardo sul disegno dei bambini”.
Arno Stern ha dedicato 70 anni della sua vita allo studio del disegno, dimostrando che i bambini non “disegnano” ma “tracciano”, per una necessità organica. Il “disegno infantile”, indica Stern, non ha ragione di essere definito così perché non si tratta di “disegno” ma di “atto del tracciare” e non ha a che fare né con l’arte né con la comunicazione.
Arno Stern apre un orizzonte incredibile che rovescia la prospettiva: cambia radicalmente il modo di guardare il disegno di un bambino, cambia il nostro modo di relazionarci con lui, cambia la nostra concezione di disegno, mette in discussione quasi un secolo di attività scolastica incentrato sull’educazione artistica e sul disegno (disegno a tema, schemi da copiare, fotocopie da colorare, parole da disegnare, artisti da copiare, …).
Provate per un momento a mettere da parte tutto ciò che sapete sul disegno infantile.
Vi capita mai di scarabocchiare quando siete sopra pensiero? La vostra mano è libera e indipendente, la vostra mente va da un’altra parte (alla telefonata che state facendo, alla conferenza che state ascoltando,…). La vostra parte razionale non è connessa a ciò che fa la mano.
Vi rilassate, state bene, provate un profondo piacere, altrimenti non lo fareste. Poi cosa fate con questi “ghirigori”? Li appendete al frigorifero o in classe se siete insegnanti? E se qualcuno li guardasse e vi chiedesse cosa avete rappresentato? E se qualcuno vi dicesse “che bello!”? Oppure “è sbagliato” e ve lo correggesse? Queste dinamiche non accadono perché nella visione comune è uno spazio vostro dove non intervenire e forse perché sono “semplici scarabocchi”. Ma forse dovreste iniziare a guardarli con occhi nuovi e capire che nulla accade per caso.
Ho preso questo esempio perché a moltissimi adulti capita di scarabocchiare quando sono sopra pensiero e questo è lo stato mentale e fisico che forse più si avvicina a quello dei un bambino che disegna spontaneamente. Accontentatevi di intuire qual è. Per capirlo davvero a fondo bisogna immergersi nella Traccia Naturale, nel Closlieu (ma di questo parlerò nei prossimi articoli).
E’ molto importante portare l’attenzione a ciò che accade al bambino perché solo comprendendo questo riusciamo a capire il valore di prenderci cura del bambino che disegna e non di quello che accade nel suo foglio.
Il bambino è un piccolo artista? Vuole rappresentare la realtà?
Se la nostra aspettativa è che il bambino rappresenti la realtà, diventi bravo nel disegno o diventi un piccolo artista, purtroppo mettiamo in atto una serie di comportamenti che mettono il bambino nelle condizioni di fare ciò che vogliamo noi e non di ciò che a lui viene spontaneo e lo fa star bene. Stern con più di 700.000 disegni dimostra che il bambino disegna per un atto spontaneo, per rispondere ad una necessità molto profonda, per giocare. Non ha obiettivi, non intende comunicare nulla, non desidera rappresentare la realtà (per molti anni, non solo quando è piccolissimo).
Quindi chiedergli spiegazioni o correggerlo non ha senso, costituisce solo un ostacolo. Se poi da grande vorrà diventare un’artista e sarà una sua scelta, avrà il tempo di imparare tecniche e strategie.
Ma i bambini non vogliono diventare artisti, molto più semplicemente si lasciano andare a gesti spontanei e giocano sul foglio. Il loro stato mentale non è collegato alla mente razionale. Giocano attraverso i tracciati che la memoria dello sviluppo del loro organismo impone loro. Questi tracciati sono uguali in tutti i bambini (e adulti) del mondo, sono universali e non dipendono dall’esperienza, dalla personalità, dalla cultura, dalla capacità,…
Questa universalità è il motivo per cui tutti i bambini fanno la casetta allo stesso modo, o il personaggio o gli alberi o i fiori. È il motivo per cui fanno per esempio il sole, i fiori o le mani con un cerchio con tanti raggi.
Cosa accade se interveniamo nel disegno del bambino?
Correggere un bambino che disegna e insegnargli a fare la casetta o un personaggio come vogliamo noi è come parlargli un’altra lingua. Lo confondiamo. Il bambino non capisce cosa gli stiamo dicendo o chiedendo. Si con il tempo fa ciò che gli imponiamo, ma questo genera frustrazione, disagio, senso di incapacità, sfiducia in se stesso. Lo costringiamo ad analizzare o a mettere in discussione ciò che si è manifestato in lui spontaneamente. Il grande piacere che prova quando disegna spontaneamente, nel tempo svanisce. Non è più una atto spontaneo: è un atto imposto, controllato, valutato, esposto. Lo costringiamo a coinvolgere la parte razionale della mente, dove non è necessaria.
Ecco perché la maggior parte dei bambini crescendo perde il piacere di disegnare. Ci sono bambini che già da molto piccoli non vogliono disegnare. Gli studi di Stern e la mia esperienza personale in questo campo (da ormai 13 anni) mi permettono di dire con sicurezza che se a un bambino non piace disegnare, qualcosa di esterno è intervenuto, qualcosa che non dipende dal bambino. La sua è una reazione a qualche evento esterno.
Dunque come relazionarsi con un bambino che disegna per non ostacolare l’atto del tracciare?
Prendendosi cura del bambino, accogliendo ciò che accade sul foglio con semplicità, senza aspettative. Non bisogna mai essere “osservatori” o avere uno sguardo critico, indagatore. E’ sufficiente essere presenti, stare accanto al bambino, proteggerlo da eventuali sguardi indiscreti e servire il suo gioco, per esempio porgendogli un foglio bianco nuovo quando ha finito, passandogli un’altra penna. Una penna biro è più che sufficiente anche per i bambini piccoli (avendo cura di controllare che lo strumento che gli date non abbia pezzetti che si possano staccare, tipo il tappo, pericolosi)! Qui trovate un articolo che Arno Stern ha scritto durante il periodo di lockdown lo scorso anno, indicazioni preziose sul disegno come rito quotidiano di grande beneficio.
Lodare i bambini quando disegnano?
Questo è un altro bel tema… ma vi rimando al prossimo articolo perché voglio parlarvi anche di un filosofo indiano che per me è una risorsa a cui attingere se vogliamo comprendere i bambini e il concetto di “attaccamento”: Jiddu Krishnamurti.
Maria Pia Sala
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