Ecco un secondo messaggio che Arno Stern ha pubblicato sulla sua pagina facebook, qui tradotto in italiano per facilitarne la comprensione.
A seguire il testo originale in francese. Il primo messaggio era stato pubblicato la settimana scorsa, lo trovi qui.

Messaggio in italiano – a cura di Giovanni Frova

“Mi ha molto toccato che il mio precedente post, qui, sia stato letto – in francese e in tedesco – da oltre 300.000 persone. Questo mi ha portato a scrivervi un altro testo. Eccolo:

«La rigenerazione della spontaneità»

È possibile che abbiate letto quello che mi ero premurato di scrivervi, spinto dall’idea che era un dovere portare il mio contributo in questi tempi di confino. Tuttavia, riflettendoci, mi accorgo che non basta incoraggiare a far bene quando non si conosce ciò che è dannoso. Dire: «Date un foglio, date una penna biro e lasciate giocare!» presuppone che l’interlocutore sappia cosa sia un gioco libero – liberato da ogni condizionamento paralizzante. Chi lo sa, chi ha già provato cosa sia davvero il gioco libero?

Prima di tutto, voglio dire cosa caratterizza il gioco: ciò che contraddistingue il gioco creativo è che non produce niente. Al contrario, un’opera tende a suscitare un’accoglienza e, in chi la produce, un’attesa. Questo succede all’artista che crea un’opera destinata ad un ricevente e che esulta se la sua opera raggiunge un pubblico.

La persona che gioca a tracciare trae piacere da quest’atto. È l’atto in sé che ha importanza e chi lo compie, se è libero da qualsiasi speculazione, potrà giocare ancor più serenamente.

Ho appena descritto la differenza essenziale tra l’Arte del dipingere e il Gioco del Dipingere.

Gli umani hanno tracciato fin da quando esiste l’umanità. Alcune loro impronte sono giunte fino a noi. Pensate alle grotte di Lascaux o di Altamira. Gli uomini che le hanno adornate hanno rappresentato la propria vita, le proprie aspirazioni, le proprie avventure. Abbiamo provato piacere nell’accogliere le loro tracce così come accogliamo con diletto le opere di artisti che hanno sviluppato le loro abilità nel corso della storia.

La traccia è stata sempre considerata solo mezzo di comunicazione e non le è mai stato riconosciuto altro ruolo. E così l’arte, in ogni epoca, ha sempre collegato chi la produce a chi la riceve. Quando vedete qualcuno che traccia delle figure o delle immagini, come designate il suo atto? Usando una parola non sostituibile voi dite che egli disegna. Disegnare è un sinonimo di designare. Hanno un’origine comune. Non è forse questa una prova che tale traccia sia sempre servita a mostrare e che tracciare significhi dedicarsi ad un atto di comunicazione?

Devo però parlarvi di quello che ho incontrato poiché, per il mio fortunato destino di rifugiato, di apolide e di emarginato etnico… ho accettato – era il 1946 ed ero molto giovane – di dedicarmi ai bambini di un orfanatrofio post bellico. Proprio in questa situazione e con condizioni di lavoro che non avevo scelto, ho creato un allestimento che ha suscitato una manifestazione non abituale: una traccia senza precedenti, di una natura insolita.

Per ragioni pratiche, avevo allestito un luogo confortevole e, soprattutto, protetto da ogni influenza. Questo ha favorito lo sviluppo di un’attitudine trascurata nella vita sociale quotidiana: la spontaneità. Suscitando e sviluppando questa disposizione solitamente sacrificata alla ragione, avevo consentito l’emergere di una traccia inusitata: la traccia della Formulazione.

L’entusiasmo mi ha portato ad approfondire la consapevolezza di questa rivelazione. Ho appreso che questa traccia inabituale ha la propria sorgente in una memoria specifica. Ho dovuto rivelarla e attribuirle un nome appropriato. L’ho chiamata Memoria Organica. Inoltre ho fatto conoscere quale sia il ruolo di questa memoria in rapporto alla nostra facoltà del ricordare (la cui estensione temporale è limitata).

A molte persone chiedo: «quali sono i suoi ricordi più lontani?» (Mi riferisco ai veri ricordi, non a quelli di seconda mano che, più tardi, vi sono stati raccontati da altri). Le risposte si riferiscono a fatti che si sono prodotti quando la persona interpellata aveva quattro anni, a volte tre anni. A molti di loro non sembra strano che la facoltà di ricordare sia così limitata. La verità è che essa può farci risalire fino ai due anni. Questa è la soglia oltre alla quale nulla è stato conservato. Questo significa che abbiamo perso tutto quello che è avvenuto prima. Eppure i primi due anni dell’infanzia sono ricchi d’incontri, di esperienze, di acquisizioni. E la nascita? La vogliamo considerare solo come un’occasionale fatto di cronaca? E i nove mesi che l’hanno preceduta? Mi piace dire che siamo come un libro al quale sono state strappate le prime trenta pagine e che ci troviamo dunque costretti a leggere senza conoscerne l’inizio.

Per fortuna, a fianco della nostra facoltà di ricordo, possediamo anche una memoria, la Memoria Organica, che ha registrato tutti i fatti della nostra esistenza dalla sua origine. Questa memoria possiede il suo mezzo di espressione: la Formulazione. Metterla in moto significa ritrovare il suo inizio. Riuscite a coglierne l’importanza? Ne immaginate le conseguenze?

Non si tratta di un processo terapeutico. È un procedimento naturale non ancora sperimentato. Se rigenerate questa facoltà d’espressione, una predisposizione innata e nascosta si risveglia: era stata messa in disparte poiché essa può attivarsi solo in condizioni di spontaneità. Immaginate quale possa esserne l’effetto? La spontaneità non è una facoltà che bisogna acquisire, ma un’attitudine naturale che non manca a nessuno. È stata resa sterile dallo sviluppo eccessivo della ragione. Per questo essa non rientra nei comportamenti quotidiani. La sua attivazione presuppone condizioni apposite. Proprio quelle che, senza premeditarlo, avevo creato quando ho allestito il Closlieu.

Auspico che i Praticiens-Serventi del Gioco del Dipingere, formati per adempiere a questo ruolo, possano spargersi ovunque e che la loro attività trasformi le relazioni umane. Tuttavia, nella nostra società, scossa da questa epidemia, mettiamo già in pratica ciò che le consuetudini quotidiane hanno finora ostacolato. Non cercate di improvvisare il Gioco del Dipingere; esso non si accontenterebbe di una parvenza del Closlieu. Datevi piuttosto da fare per rigenerare le facoltà spontanee dei bambini, invece di aggiungere altro peso a ciò che le intralcia!”

Arno Stern, 6 aprile 2020
© Institut Arno Stern

Messaggio originale in francese

“J’ai été touché que mon précédent post, ici, ait été lu – en français et en allemand – par plus de 300 000 personnes. Cela m’a incité à écrire un nouveau texte à votre intention. Le voici :

« La régénération de la spontanéité »

Il est possible que vous ayez lu ce que je m’étais empressé d’écrire, poussé par l’idée qu’il était de mon devoir d’apporter ma contribution en ces temps de confinement. Et puis, à la réflexion, je m’aperçois qu’il ne suffit pas d’encourager à bien faire lorsqu’on ne sait pas ce qui est nocif. Dire : « Donnez une feuille et un stylo à bille et laissez jouer ! » suppose que l’interlocuteur sache ce qu’est un jeu libre – libéré de tout conditionnement paralysant. Qui donc sait cela, qui a éprouvé un jeu vraiment libre ?

Je veux, tout d’abord, dire ce qui caractérise le jeu : Ce qui distingue le jeu de la création, c’est qu’il ne produit rien. Tandis que la vocation d’une œuvre est de susciter un accueil et, chez l’émettant, une attente. C’est le cas de l’artiste qui crée une œuvre destinée à un récepteur et qui jubile si son œuvre atteint le public.

Celui qui joue à tracer jouit de son acte traceur. C’est l’acte seul qui a de l’importance, et s’il l’accomplit libéré de toute spéculation, il joue d’autant plus sereinement.

Je viens de décrire la différence absolue entre l’Art de peindre et le Jeu de Peindre.

Depuis que l’humanité existe, les humains ont tracé. Certaines de leurs empreintes nous sont parvenues. Pensez aux grottes de Lascaux ou d’Altamira. Les hommes qui les ont ornées ont représenté leur vie, leurs aspirations, leurs aventures. Nous avons le plaisir d’accueillir leurs traces, tout comme nous accueillons avec délectation les œuvres qui nous sont parvenues d’artistes ayant développé leur savoir-faire au travers de l’Histoire.

La communication a constitué le seul rôle envisageable de la trace. Ainsi l’art a, de tout temps, relié l’émettant à son récepteur. Lorsque vous voyez quelqu’un qui trace des figures ou des images, comment désignez-vous son acte ? Vous employez un mot irremplaçable, en disant qu’il dessine. Dessiner est synonyme de désigner. Ils ont une origine commune. Cela n’est-il pas la preuve que cette trace a, de tout temps, servi à montrer, que tracer, c’est se livrer à un acte de communication ?

Je dois vous parler de ce que j’ai rencontré, parce que, par la chance de mon destin de réfugié, d’apatride, de réprouvé ethnique… j’ai accepté en 1946, étant très jeune, de me vouer à des enfants dans un orphelinat de guerre. Et, dans cette situation, et dans les conditions de travail qui se sont imposées à moi, j’ai créé un aménagement qui a suscité une manifestation inhabituelle : une trace sans précédent, d’une nature insolite.

Pour des raisons pratiques, j’avais aménagé un espace confortable et, surtout, protecteur contre toute influence ; et cela a développé une aptitude négligée dans la vie sociale quotidienne : la spontanéité. En suscitant, en développant cette aptitude sacrifiée ordinairement à la raison, j’avais permis l’émergence d’une trace inusitée : la trace de la Formulation.

Mon enthousiasme m’a conduit à approfondir la prise de conscience de cette révélation. J’ai appris que cette trace inhabituelle a sa source dans une mémoire spécifique. J’ai dû la révéler à son tour, la doter d’une appellation appropriée. Je l’ai appelée la Mémoire Organique. Et j’ai fait savoir quel était le rôle de cette mémoire à côté de notre souvenance (dont la portée temporelle est limitée).

Je pose, à beaucoup de personnes, la question : « quels sont vos plus anciens souvenirs ? » (Je veux dire : les vrais souvenirs, non pas ceux de seconde main qui vous ont été, plus tard, racontés par d’autres) Et les réponses se rapportent à des faits qui se sont produits lorsque la personne avait quatre ans, parfois trois ans. Il ne semblait pas étonnant à la personne que sa souvenance soit aussi limitée. La vérité est qu’elle peut porter jusqu’à deux ans. En-deçà de ce seuil, rien n’a été sauvegardé. Cela signifie que nous avons perdu tout ce qui a précédé. Les deux premières années de la petite enfance sont pourtant riches en rencontres, en expériences, en acquisitions. Et la naissance ! n’est-ce qu’un faits-divers occasionnel ? Et les neuf mois qui l’ont précédée ? Je me plais à dire que nous sommes comme un livre dont on a arraché les trente premières pages ; et donc nous sommes obligés de le lire sans connaître son commencement.

Heureusement, à côté de notre souvenance, nous possédons aussi une mémoire, cette Mémoire Organique qui, elle, a enregistré tous les faits de notre existence depuis son origine ; et cette mémoire possède son moyen d’expression : la Formulation. La mettre en branle, c’est retrouver son commencement. En mesurez-vous l’importance ? En imaginez-vous les conséquences ?

Ce n’est pas un processus thérapeutique. C’est une procédure naturelle, mais elle est inéprouvée. Et si vous régénérez cette faculté d’expression, une disposition innée occultée s’éveille de sa mise à l’écart, parce qu’elle ne peut être active que dans un état de spontanéité. Imaginez-vous quel en est l’effet ? La spontanéité n’est pas une faculté qu’il faut acquérir, mais une aptitude naturelle dont nul n’est privé. Elle a été stérilisée par le surdéveloppement de la raison. C’est pourquoi elle est hors des comportements quotidiens. Sa mise en activité suppose des conditions. Ce sont celles que, sans préméditation, j’avais créées en installant le Closlieu.

Je souhaite que les Praticiens-Servants du Jeu de Peindre, formés à ce rôle, se répandent et que leur activité transforme les relations humaines. Mais, dans notre société, ébranlée par cette épidémie, mettons déjà en pratique ce que les mÅ“urs du quotidien ont entravé. N’essayez pas d’improviser le Jeu de Peindre ; il ne s’accommoderait pas d’un semblant de Closlieu. Mais évertuez-vous à régénérer les facultés spontanées des enfants, au lieu d’ajouter du poids à ce qui les entrave!”

Arno Stern, 6 avril 2020
© Institut Arno Stern

Pagina a cura di Maria Pia Sala

© I contenuti presenti nel sito e negli articoli (immagini e testi) sono di Maria Pia Sala. Mi fa piacere se desideri divulgare o condividere le mie parole e ti ringrazio, ma ti chiedo di citare sempre la fonte per rispetto a me e al mio lavoro.

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